Statira (Zeno e Pariati), Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO PRIMO
 
 Campo de’ Persiani.
 
 SCENA PRIMA
 
 STATIRA, con seguito di armati, e BARSINA, pure con altro seguito
 
 BARSINA
 A me, figlia di Ciro, a me di tanti
 gloriosi monarchi unica erede
 v’è chi ’l trono contenda?
 STATIRA
 A te, figlia di Ciro,
5io figlia di Artaserse, io lo contendo.
 BARSINA
 Statira, il re mio padre
 prima del tuo cinse il diadema.
 STATIRA
                                                           E i vizi
 tolsero a lui ciò che gli diede il sangue.
 BARSINA
 Ei nacque re.
 STATIRA
                            Ma da tiranno è morto.
 BARSINA
10Re non nacque Artaserse.
 STATIRA
 Chi re more, è più re di chi vi nasce.
 BARSINA
 I diritti sovrani
 né orgoglio tuo né altrui livor può tormi.
 STATIRA
 Già te gli tolse... Eh, queste
15sono inutili gare. Abbiam conteso
 da femmine finor, non da regine.
 Le ragioni al comando,
 più che sul labbro, hanno vigor sul brando.
 
 SCENA II
 
 ORIBASIO, poi ARSACE e le suddette
 
 ORIBASIO
 Scioperato e codardo
20saria, Barsina, l’amor mio, quand’egli
 non ti recasse al maggior uopo aita.
 BARSINA
 Assicura già il cielo
 teco, invitto Oribasio, i miei trionfi.
 ARSACE
 Statira, or che si tratta
25la tua causa con l’armi, anch’io ne vengo
 teco a pugnar.
 BARSINA
                             (Cieli, a’ miei danni Arsace!)
 STATIRA
 E vincerò, che dove
 combatte Arsace, al suo valor si gloria
 ubbidir la fortuna e la vittoria.
 ARSACE
30Fuor della mischia il piè ritira, o bella.
 Da’ tuoi lumi abbastanza
 già tutte appresi del ferir le vie.
 ORIBASIO
 Tu pure esci dal campo e ugual prometto
 il coraggio all’affetto.
 STATIRA
35(Se Arsace è mio campion, regina io sono).
 BARSINA
 (Se Arsace è mio nimico, io perdo il trono).
 
 SCENA III
 
 DARIO e i suddetti
 
 DARIO
 Qual nume avverso oggi cospira a’ danni
 del perso impero? Onde tant’ire? È questo
 d’odi privati il miglior tempo? A fronte
40abbiam quel che va tinto
 del regio sangue, il fiero scita, Oronte.
 Là s’impieghi l’acciaro e là trionfi.
 Diasi e per voi, gran donne,
 alle risse funeste
45tregua almen, se non fine.
 Siate di voi, pria che di altrui regine.
 STATIRA
 Dario, gran duce, il cielo
 vede e l’ombra paterna
 con quale orror gli odi civili io scerna.
50Ma costei troppo altera
 vuole usurpar ciò che a giustizia è mio.
 Nol soffrirò.
 BARSINA
                         Statira,
 per non soffrirlo ho le mie furie anch’io.
 STATIRA
 Ne sia giudice il popolo e il Senato.
 BARSINA
55L’acquisto di un diadema
 non vuol dimore.
 DARIO
                                  Orché tanta di stragi
 sete ti accende, all’armi
 commettasi, o Barsina, il dubbio evento.
 Ma non si sveni al tuo furor privato
60la comune salute.
 Forte guerriero ambe scegliete. In chiuso
 campo fra lor si pugni;
 e sia della vittoria
 prezzo ad una lo scettro, ad un la gloria.
 STATIRA
65Statira applaude.
 BARSINA
                                   Anch’io vi assento.
 DARIO
                                                                       Omai
 non si tardi la scelta.
 BARSINA
 Facciasi tosto.
 STATIRA
                             Arsace
 sia mio campione.
 BARSINA
                                     (Oh numi!) Al tuo valore
 la mia ragion, forte Oribasio, affido.
 DARIO
70Pari è l’incontro; ambo d’invitti han grido.
 ARSACE
 Non mai, bella Statira,
 avrò vibrato in miglior uso il brando
 che a tuo favor pugnando.
 ORIBASIO
 Or che son tuo guerrier, cara Barsina,
75novo insolito ardore
 sento in seno avvamparmi.
 Vado a dispor l’ire alla pugna e l’armi. (Si parte)
 ARSACE
 
    Parto, o bella, e già son certo
 che pugnando io vincerò.
 
80   Alma e destra ho più robusta;
 se la parte or son più giusta,
 la più forte ancor sarò.
 
 SCENA IV
 
 STATIRA, BARSINA e DARIO
 
 DARIO
 Artaserse insepolto
 senza l’onor del rogo ancor sen giace.
85L’estremo uffizio differir non lice.
 Tutto è in Tauris disposto; e sol la vostra
 pietà ci manca.
 BARSINA
                               Io verrò in breve.
 STATIRA
                                                                 (Oh quanto
 mi costi, incauta ambizion! Già sono
 ria con l’amante, empia col padre. L’uno
90metto in rischio di vita e nego all’altro
 la pace del sepolcro). Andiamo, o duce.
 
    Empia figlia, ingrata amante,
 nego il rogo al padre estinto,
 mando a morte il caro bene.
 
95   Già ti sdegno, amor di regno
 che fai solo ad un istante
 le mie colpe e le mie pene.
 
 SCENA V
 
 DARIO e BARSINA
 
 DARIO
 Per te, mia principessa,
 qui mi richiama e mi trattiene amore.
 BARSINA
100Chi non serve al mio cor, Dario, non mi ama.
 DARIO
 Al tuo cor servirò, quanto richiede
 onor, giustizia e fede.
 BARSINA
 Non ha tanti riguardi amor ch’è cieco.
 DARIO
 La tua beltà vuol ch’io fedel t’adori;
105la mia virtù non vuol ch’io viva ingiusto.
 BARSINA
 Ed ingiusto saresti
 a sostener le mie pretese al soglio?
 DARIO
 Giudicarne non dee chi nacque servo.
 BARSINA
 Ma chi dee giudicarne?
 DARIO
                                              Il cielo e l’armi.
 BARSINA
110Va’ ed amami regina o non amarmi.
 DARIO
 
    Sei regina del mio core;
 servo sono al tuo sembiante.
 
    Questo è il trono, in cui t’inchina
 giusto amore e degno amante.
 
 SCENA VI
 
 BARSINA
 
 BARSINA
115Mi contende Statira,
 la superba rival, regno ed Arsace.
 Non gli otterrà. Ciò che può ingegno e forza
 tutto userò. Core, a’ consigli, all’arti.
 Per regnar, per goder tutto alfin lice;
120e la colpa è virtù, quando è felice.
 
    Scettro che tanto bramo,
 beltà che tanto adoro,
 sarete il mio piacer.
 
    Or peno, perché v’amo;
125ma diverrà il martoro
 oggetto di diletto
 nell’uso del goder.
 
 Padiglione reale all’uso degli Sciti.
 
 SCENA VII
 
 ORONTE e guerrieri
 
 ORONTE
 Sinché i Persi divisi
 tiene in guerra civil l’odio feroce,
130non si perda, o miei duci,
 una certa vittoria. Ite e là dove
 da sé, pria che da voi, vinto è il nimico,
 abbattete i ripari, empiete il campo
 di stragi e sol vi resti
135in fiero aspetto un solitario orrore,
 funesto al guardo e spaventoso al core.
 
    Ite, la morte
 con braccio forte,
 anime intrepide,
140a popolar.
 
    Sì certa e facile
 v’è la vittoria
 che senza gloria
 fia il trionfar.
 
 SCENA VIII
 
 IDASPE ed ORONTE
 
 IDASPE
145Mio sire invitto.
 ORONTE
                                 Idaspe,
 tua libertade in breve
 delle vittorie mie dovea esser frutto.
 Chi prevenne i miei voti? E chi ti tolse
 alle perse catene?
 IDASPE
150Beltà che in questo foglio il cor ti espone.
 ORONTE
 Che fia?
 IDASPE
                   (Se non ti sveno,
 barbaro re, non son felice appieno).
 ORONTE
 «In te, benché nimico, (Legge)
 regal donzella, eccelso re, confida.
155La paterna corona
 s’insidia a lei. Suo difensor tu vieni.
 Vien generoso. A te non far ch’esposti
 abbia suoi voti invano
 chi suo appoggio ti vuole o suo sovrano».
160Idaspe, a’ piè del foglio
 sta di Barsina il nome.
 IDASPE
                                            Ed ella appunto
 mi tolse a’ ceppi e a te recar m’impose...
 ORONTE
 Inutile ricorso. (Straccia il foglio)
 Per Statira è il mio cor. Lei chiedo in moglie.
165Mi si nega. Al rifiuto
 furie desto, armi impugno,
 vinco la Persia ed Artaserse uccido.
 L’ira sinor si è soddisfatta. Or pure
 si soddisfi ’l desio. Statira io voglio,
170prima e sola cagion di mia vittoria.
 Volerla è impegno e conquistarla è gloria.
 IDASPE
 Ardua impresa. Il suo affetto
 è un trionfo di Arsace,
 di Arsace, a cui morendo
175il genitor la dichiarò consorte.
 ORONTE
 Di un padre estinto è un vincitor più forte.
 IDASPE
 Più beltà, più virtude
 splende in Barsina...
 ORONTE
                                        Io vo’ Statira. Omai
 novo invito guerriero
180dieno le trombe. La città si assalga,
 si combatta, si espugni; e in dì sì lieto
 cingan la regia fronte
 mirti ed allori al bellicoso Oronte.
 
    Mi si sveglia nel seno un affetto
185che né fasto né tema esser può.
 
    Non è speme, non pena o diletto,
 non è amore che alberga nel core,
 s’ei per gli occhi nel cor non entrò.
 
 SCENA IX
 
 IDASPE
 
 IDASPE
 Idaspe... Ah, no. Ti svegli
190a più giusti furori
 il rammentar qual sei, non qual ti fingi.
 Idreno sfortunato,
 sai ben qual sia l’iniquo Oronte? Il crudo
 ti uccise il padre. Ti rapì ’l superbo
195d’Issedon la corona; e vai per esso
 rammingo e vil, mentito il nome e il grado.
 Una giusta vendetta,
 cieli, vi chieggo alfine.
 Per mia man cada l’empio; e se avrò morte
200sul cadavere suo, morrò da forte.
 
    Di un barbaro, di un empio
 vo’ far vendetta e scempio,
 lungi da me pietà.
 
    Da un’anima feroce
205s’impari crudeltà.
 
 Cortile chiuso a foggia di steccato dinanzi al palazzo reale.
 
 SCENA X
 
 ARSACE e poi STATIRA
 
 ARSACE
 
    Entro in campo, o dio d’amore,
 tuo guerriero e stringo l’armi.
 
    Tu sostienmi e braccio e core;
 e in mercede al tuo gran nume
210si alzeranno e bronzi e marmi.
 
 Questo è il loco...
 STATIRA
                                  Ove, o duce,
 Statira la crudel, mossa da cieca
 avidità d’impero,
 al difficil cimento, oh dio, ti espone.
215Lingua rubella! Ah come,
 come del core in onta
 proferir mai potesti ’l dolce nome?
 ARSACE
 Amabile idol mio, combatte Arsace
 e combatte per te. Son meco al fianco
220l’amor tuo, la mia fede;
 mi stimola beltà, ragion mi regge;
 sicuro è il mio trionfo,
 certa la tua grandezza; e tu paventi?
 Sì debole son io? Tu così ingiusta?
 STATIRA
225Ingiusta è mai la tema in un’amante?
 Caro Arsace, non sempre
 vince il più forte. Il caso
 anche ha le sue vittorie;
 e nimica a virtù spesso è fortuna.
 ARSACE
230Tolga il cielo gli auguri;
 ma morire per te, che bel morire!
 STATIRA
 Se solo a sì gran costo
 si dee regnar, scettro, corona, addio;
 voi siete il mio terror, non il mio voto,
235che per vita sì illustre
 non è prezzo condegno
 il trono della Persia e quel del mondo.
 ARSACE
 Mia regina, il tuo amore
 leggo nel tuo timor. Cari perigli!
240Pur consolati e parti. Il tempo è questo
 in cui, più che pugnar, vincer degg’io.
 STATIRA
 Ma sovvengati, Arsace,
 ch’io vivo nel tuo seno e tu nel mio.
 
    Difenditi, mia vita,
245almeno per pietà
 di chi ti adora.
 
    Ogni crudel ferita,
 che nel tuo sen cadrà,
 ad impiagar verrà
250quest’alma ancora.
 
 SCENA XI
 
 ARSACE e ORIBASIO
 
 ORIBASIO
 Arsace, al breve indugio
 tu dei del viver tuo gli ultimi avanzi.
 ARSACE
 Non è sì lieve impresa,
 Oribasio, qual pensi, il tuo trionfo.
 ORIBASIO
255Mi sostiene il valor.
 ARSACE
                                       Non la ragione.
 ORIBASIO
 Dee Barsina regnar.
 ARSACE
                                        Tanto ti giova
 che le pretese sue perda Statira?
 ORIBASIO
 All’armi, all’armi. Ogni contesa è vana.
 ARSACE
 Già il ferro è su la destra.
 ORIBASIO
                                                 I nostri acciari
260bevan l’ultimo sangue.
 ARSACE
                                            E pronto io sono.
 ORIBASIO
 E pietà qui non s’usi e non perdono.
 
 SCENA XII
 
 DARIO e i suddetti
 
 DARIO
 Cessino l’ire. Alle nostr’armi, amici,
 la fortuna de’ Sciti
 minaccia i fati estremi.
 ORIBASIO
                                             È vinto il campo?
 DARIO
265Né basta. Per le vie
 della cittade oppressa
 corron le stragi ad innondar la reggia.
 ARSACE
 Statira... Oh dio!...
 DARIO
                                     Già di Barsina al seno,
 di Statira alla fronte
270le porpore e il diadema usurpa Oronte.
 ARSACE
 Vado; sarò al mio bene,
 se non per sua difesa, avversi numi,
 per sua vittima almeno.
 La vittoria o la morte
275dirà s’io sono amante o s’io son forte.
 
    Al mio braccio ed al mio brando
 la mia fé dà più valor.
 
    E se pur cadrò pugnando,
 morto ancor sarò d’inciampo
280al superbo vincitor.
 
 SCENA XIII
 
 DARIO e ORIBASIO, poi ORONTE, STATIRA, BARSINA e IDASPE
 
 DARIO
 Noi pure al fier torrente
 facciam col nostro petto argine e sponda;
 e si contrasti almeno
 al nimico furor l’ultima gloria.
 ORIBASIO
285Andiamo e si difenda
 nel viver di Barsina
 della mia speme e l’interesse e il merto.
 ORONTE
 Vano è l’ardir. L’armi cedete, o prodi.
 Cessi con la vittoria
290e la mia nimistade e il vostro rischio.
 E voi, belle nimiche,
 rasserenate il ciglio. Al perso impero
 di man cadde l’acciar; ma non vi cadde
 per diventar catena. A sì vil uso
295non fa servir le sue conquiste Oronte.
 Illesa su la fronte
 la maestà vi resti.
 STATIRA
 Stendi pur la vittoria
 a tuo piacer sin dove puoi. Sol sappi
300che l’alma di Statira è il suo confine.
 ORONTE
 (Fiera beltà!)
 BARSINA
                            Barsina
 del vincitor cortese
 umil risponde a’ doni.
 ORIBASIO
 (Ingegnoso rispetto).
 DARIO
                                         (Accorta frode).
 ORONTE
305So dar freno alla sorte. Idaspe, vanne
 l’ire a frenar de’ miei guerrieri e il fasto.
 Cessin le stragi.
 IDASPE
                                Io vado; e alla tua gloria
 la pietà fregi accresca e la vittoria.
 DARIO
 Generoso nimico!
 ORONTE
310Delle vostre contese
 arbitro io m’offro. Alla mia guerra, o belle,
 vo’ che tutta si debba
 la vostra pace. A chi di voi più giusta
 assista la ragion, consegno il trono;
315e più che vincitor, giudice sono.
 STATIRA
 Dal voto di un nimico
 pender non sa Statira; e non le piace
 quell’onor che le costi un atto indegno.
 Van le mie pari al regno,
320senza che man straniera
 serva loro di appoggio. I miei natali
 fanno del grado mio tutta legge.
 Non scelga un re de’ Sciti
 chi regni sopra i Persi. In te la sorte
325un vincitore, un re vuol ch’io rispetti.
 Nulla di più. Giudica i tuoi. Mi basta
 saper qual io sia. Se poi l’orgoglio
 a contender del soglio ora mi sfida,
 ha la Persia un Senato. Esso decida.
 ORONTE
330(Ben di regnar quel brio feroce è degno;
 e già sopra il mio cor comincia il regno).
 BARSINA
 Chi ricusa i giudizi
 di sua ragion diffida.
 STATIRA
 Ha la Persia un Senato. Esso decida.
 
335   No, che regnar non vo’,
 se de’ vassalli il cor
 col braccio del valor
 non m’alza al trono.
 
    E il trono crederò
340indegno del mio piè,
 se da un nimico re
 l’ottengo in dono.
 
 SCENA XIV
 
 ORONTE, BARSINA, DARIO e ORIBASIO
 
 ORONTE
 Negli affari di un regno
 per suo giudice un re sdegna Statira?
 BARSINA
345Signor, al suo rifiuto
 alterigia la move, odio la sprona;
 e il ricusar che tu l’innalzi al soglio
 è timor di cader sotto al tuo voto.
 Io non sospiro, o sire,
350che il viver mio. Di tua sentenza al cenno
 chino la fronte. Vuoi che oppressa e vile
 la Persia estrema abbia i miei giorni? Gli abbia.
 Vuoi che umile io ti segua
 mio vincitor? Ti seguo. Il tuo volere
355faccia pur le mie leggi e il mio piacere.
 ORIBASIO
 (Saggia lusinga!)
 DARIO
                                  (Industrioso inganno!)
 ORONTE
 Va’. Per esser felice
 tua legge e tuo piacer sia ciò che lice.
 BARSINA
 
    Sei mia speme, mio ristoro;
360ed onoro nel tuo volto
 il mio giudice, il mio re.
 
    Vo’ che l’alma a te si aggiri
 e in sospiri ’l cor disciolto
 baci l’orma del tuo piè.
 
 SCENA XV
 
 ORONTE, DARIO e ORIBASIO
 
 ORONTE
365Al Senato rimette
 la sua ragion Statira.
 DARIO
 A lui che de’ suoi regi
 bilancia il merto e la virtù compensa.
 ORIBASIO
 (Barsina, or datti pace).
 ORONTE
                                              Egli si unisca.
370Amo Statira. Amore
 di sé stesso diffida, ancorché saggio.
 Risolvano i vassalli
 la lor felicitade. Al lor decreto,
 pago di mia vittoria anch’io mi accheto.
 
375   Tu vincesti, o cor guerriero;
 ma da’ rai di un bel sembiante
 vinto resti e dei penar.
 
    È tuo fasto un grande impero;
 ma di te già fatto amante
380la beltà sa trionfar.
 
 SCENA XVI
 
 DARIO ed ORIBASIO
 
 DARIO
 Quel guardo amico, onde si fissa Oronte
 sul volto di Statira,
 Oribasio, pavento
 che un fulmine fatal sia per Barsina.
 ORIBASIO
385Vano timor. N’è giudice il Senato.
 DARIO
 Ma del Senato i voti
 la legge avran da un vincitor ch’è amante.
 ORIBASIO
 Vedrò dunque Statira
 sul trono della Persia?
 DARIO
                                           Essa n’è erede.
 ORIBASIO
390Il mio amor vi si oppone e la mia fede.
 DARIO
 Ma il dover? La ragione?
 ORIBASIO
 
    Non voglio altro dover
 che quello di piacer
 a chi m’alletta il cor.
 
395   La mia ragion più bella,
 credimi, è solo quella
 con cui favella amor.
 
 SCENA XVII
 
 DARIO
 
 DARIO
 Ami Oribasio e per regnar sia ingiusto.
 Dario ami pur; ma legge
400sia del suo amor quella virtù che il regge.
 
    Se innocente spieghi ’l volo,
 pura e bella tortorella,
 senti l’aura che ti affida
 e ti guida a riposar.
 
405   Se l’umor comparte a’ fiori
 quel ruscello chiaro e bello,
 sente l’aura che gli dice:
 «Va’ felice insino al mar».
 
 Il fine dell’atto primo